Personaggi storici

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  1. Bolognesedoc!!
     
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    Spero vi piaccia l'idea di creare un Topic, in cui ognuno è libero di inserire personaggi storici che ritiene, per un modo o per un altro, particolari e interessanti. Unica regola: non devono essere capi di stato. Vi pregherei di limitare le vostre discussioni, alla figura scelta e evitare commenti propagandistici, altrimenti verrà chiesto ai moderatori di cancellare. E' indispensabile, rispetto e maturità. Intanto ve ne riporto alcuni:

    Joseph Goebbels

    Nato a Rheydt in Renania nel 1897, a quattro anni si ammala di poliomielite che lo isola dai coetanei fino a 12 anni e gli rese l'infanzia triste e infelice. I fratelli lo ricordano rinchiuso volontariamente in soffitta dove leggeva libri e enciclopedie. I genitori di Goebbels sognavano che il figlio facesse carriera militare, ma ciò fu impossibile a causa della poliomielite che aveva degenerato il suo fisico. Infatti, allo scoppio della prima guerra mondiale Joseph frequentava il liceo e fu scartato dal servizio militare senza neppure una visita. I genitori pensarono che sarebbe diventato un prete brillante, Joseph allora, si rivolse a padre Moller. Ottenne un prestito, presso l'Albertus Magnus, di 964 marchi che lo aiuteranno negli studi e nella vita. Goebells conseguì una splendida carriera scolastica con ottimi voti in Tedesco, Latino e Greco.

    A venti tre anni si laurea e intraprende la strada della letteratura e del giornalismo e diviene segretario di un piccolo partito di estrema destra guadagnando circa 100 marchi al mese. La sua carriera da giornalista è disastrosa, il suo primo manoscritto Michael, infarcito di luoghi comuni, e accenti nazionalistici viene respinto dagli editori e dai giornali. Nasce da lì il suo odio profondo verso gli ebrei rei di avere il monopolio sulla cultura tedesca. Goebbels si avvicina nel 24 al partito nazionalsocialista per caso, quando un suo amico lo invita ad ascoltare un discorso di propaganda tra nazisti e socialisti e viene invitato, a intervenire al dibattito.

    I socialisti lo accusano di essere uno sfruttatore capitalista ma, Joseph con un abile mossa propagandista, invita un uomo della folla a salire sul palco e a mostrare al pubblico quanti soldi avesse nel portafoglio. Joseph svuota anch'egli il portafoglio che conteneva solo pochi spiccioli, il pubblico applaude ormai conquistato. Nel 24 inizia quindi la sua attività politica divenendo Gauleiter della Renania e s'iscrive al partito nazionalsocialista e Hitler lo incarica di riorganizzare il partito, irreggimentare le S.A., e di conquistare propagandisticamente le piazze più difficili della Germania. Le sue doti di abilissimo oratore sempre padrone di sè, che finge a meraviglia le sue emozioni, capace di sfruttare la ricchezza della sua voce, capace di stabilire immediatamente il contatto con il pubblico, riescono a infondere odio e entusiasmo alla folla, sempre più numerosa, che assiste ai suoi discorsi.

    I suoi interventi in pubblico causano sempre più tensioni sociali culminando in pestaggi e a volte provocando anche la morte. Goebbels, divenuto ormai un abilissimo propagandista, riesce anche a sfruttare le sconfitte, esaltando la sofferenza dei feriti e addirittura ingaggiando degli attori che saranno avvolte in bende tinte con l' anelina per simulare le ferite. Joseph riorganizza anche i manifesti propagandistici ridisegnandoli con caratteri più marcati e con colori più vivaci per attrarre più facilmente il pubblico. La battaglia più attiva la conduce sulla stampa, sul giornale Der Angriff (l'assalto), un giornale di ispirazione anticomunista e antisemita che non dà pace agli oppositori politici con calunnie, insinuazioni e scandali. Nel 1930 il nazismo ottiene i primi successi (da 800 mila voti il partito guadagnò più di sei milioni di consensi), acquisendo 107 parlamentari nel Reichstag e Goebbels venne nominato capo della propaganda. Nei tre anni seguenti Goebbels getta le basi per l'avvento del Nazismo facendo ricorso a tutti i mezzi possibili come la radio con la quale trasmette i discorsi nelle più grandi città tedesche e con il grammofono distribuendo per posta più di 50000 dischi contenenti duri attacchi al governo.

    Anche l'aviazione diventa strumento di propaganda: Hitler giunge ai comizi in aereo e Goebbels lo annuncia alla folla dicendo che il Fuhrer arriva dal cielo. Nel 1933 Hitler diventa cancelliere e cominciano gli anni dei trionfi nei quali Goebbels monta un apparato di propaganda che raccoglie nelle sue mani tutti i più moderni mezzi di espressione. In pochi mesi riesce a controllare l'industria cinematografica, poi estende il potere sulla letteratura creando una lista nera dei libri proibiti ed espropriando le principali case editrici estendendo, di fatto, la propaganda anche all'estero. Così in pochi anni Goebbels, libero da antichi complessi di frustrazione e di inferiorità, diventa uno degli uomini più potenti e temuti della Germania, ammirato anche all'estero. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale si schierò con gli estremisti quali Bormann e Himmler e promulgò i decreti della "guerra totale" e della "terra bruciata" e chiese sempre più misure severe contro chi dava segno di debolezza o di cedimento. Con questi decreti cominciò a incitare i tedeschi alla distruzione di tutto ciò che rimanesse nelle mani del nemico e nel 45 Hitler lo nominò difensore di Berlino e per la sua prima volta nella vita Goebbels ebbe la divisa da ufficiale. Hitler alla vigilia della morte lo nominò Cancelliere del Reich e il primo e ultimo atto ufficiale di Goebbels quale capo del governo fu un telegramma a Doenitz che era a Flensburg. Alle 18,15 del primo maggio mise a letto i suoi figli addormentandoli con il sonnifero poi li fece avvelenare da un ufficiale medico. Dieci minuti più tardi Joseph con la moglie Magda salirono abbracciati nel giardino della Cancelleria e si uccisero con il cianuro e la rivoltella: Goebbels aveva 48 anni, Magda 44.


    Francesco Crispi
    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

    Francesco Crispi (Ribera, 4 ottobre 1819 - Napoli, 12 agosto 1901), statista italiano, fu Presidente del Consiglio dei ministri italiano nei periodi 7 agosto 1887 - 6 febbraio 1891 e 15 dicembre 1893 - 14 giugno 1896

    Primi anni

    Nel 1846 iniziò l'attività di avvocato a Napoli. Il 12 gennaio 1848 allo scoppio della rivoluzione siciliana a Palermo si affrettò a raggiungere l'isola e prese parte attiva alla guida dell'insurrezione. Dopo la restaurazione del governo borbonico 15 maggio 1849 fu escluso dai benefici dell'amnistia e costretto a riparare in Piemonte.

    Qui cercò invano di ottenere un impiego come segretario comunale di Verolengo e si ridusse a sbarcare il lunario facendo il giornalista. Coinvolto nella cospirazione mazziniana di Milano del 6 febbraio 1853, fu espulso dal Piemonte e costretto a rifugiarsi a Malta e in seguito a Parigi. Espulso anche dalla Francia, raggiunse Mazzini a Londra, dove continuò a cospirare per il riscatto dell'Italia.

    Il 15 giugno 1859 rientrò in Italia dopo aver pubblicato una lettera in cui si opponeva all'ingrandimento del Piemonte, autoproclamandosi fautore di uno stato italiano unito e repubblicano. Per due volte quell'anno percorse, in incognito, varie città siciliane, preparando l'insurrezione del 1860.


    La spedizione dei mille

    Tornato a Genova, organizzò insieme a Bertani, Bixio, Medici e Garibaldi la Spedizione dei Mille e, aggirando con uno stratagemma le esitazioni di Garibaldi, fece in modo che la spedizione prendesse il via il 5 maggio del 1860. Dopo gli sbarchi a Marsala il giorno 11 e a Salemi il 13, Garibaldi fu proclamato dittatore della Sicilia con le parole d'ordine Italia e Vittorio Emanuele.

    Dopo la caduta di Palermo, Crispi fu nominato Ministro dell'Interno e delle Finanze del governo siciliano provvisorio, ma fu presto costretto a dimettersi a seguito dei contrasti fra Garibaldi e gli emissari di Cavour sulla questione dell'immediata annessione all'Italia. Nominato segretario di Garibaldi, Crispi ottenne le dimissioni di Depretis, che Garibaldi aveva nominato dittatore in sua vece, e avrebbe sicuramente continuato ad opporsi risolutamente al Cavour a Napoli, dove era stato nominato da Garibaldi Ministro degli Esteri, se l'arrivo delle truppe regolari italiane non avesse portato all'annessione del Regno delle due Sicilie all'Italia e poi al ritiro di Garibaldi a Caprera e alle dimissioni dello stesso Crispi.


    La politica

    Nel 1861 si candidò per l'estrema sinistra alla Camera dei Deputati nel Collegio di Palermo, ma venne battuto. Per fortuna, un caro amico siciliano, il repubblicano Vincenzo Favara, aveva presentato la sua candidatura nel Collegio di Castelvetrano (TP), dove Crispi, pur essendo sconosciuto ai più, risultò vincitore grazie alla campagna propagandistica svolta dal suo “grande elettore”, che organizzò anche una raccolta fondi per consentire al neo-deputato, all'epoca in gravi ristrettezze economiche, di recarsi a Torino per l’inaugurazione del Parlamento.

    Alla Camera, Crispi acquistò la fama di essere uno dei membri più combattivi e irruenti del partito repubblicano. Nel 1864, tuttavia, egli si convertì alla fede monarchica, pronunciando la famosa frase, in seguito ripetuta nella sua corrispondenza con Mazzini: La monarchia ci unisce, la repubblica ci divide.

    Nel 1866 declinò la proposta di entrare nel governo Ricasoli e nel 1867 si adoperò per impedire l'invasione degli Stati Pontifici ad opera dei Garibaldini, prevedendo la conseguente reazione francese che portò al disastro di Mentana. Utilizzando lo stesso metodo che in seguito Cavallotti userà contro lo stesso Crispi, provocò la violenta agitazione, nota come affare Lobbia, con la quale parecchi deputati dell'ala conservatrice furono accusati di corruzione, senza che vi fosse il supporto di prove consistenti a sostegno di questa accusa.

    Allo scoppio della guerra Franco-Tedesca del 1870 si adoperò energicamente per impedire la progettata alleanza dell'Italia con la Francia e per trasferire a Roma il governo Lanza. La morte di Rattazzi nel 1873 indusse i sostenitori di Crispi ad avanzare la sua candidatura per la guida della Sinistra, ma Crispi, ansioso di rassicurare la Corona, sostenne invece l'elezione di Depretis.

    Dopo l'avvento al potere della Sinistra nel novembre 1876 fu eletto Presidente della Camera. Nell'autunno del 1877 si recò a Londra, Parigi e Berlino per una missione di carattere riservato, avendo così occasione di stabilire cordiali relazioni personali con Gladstone, Granville e altri statisti inglesi, nonché con il cancelliere Bismarck.

    Nel dicembre 1877 prese il posto di Nicotera al Ministero degli Interni del governo Depretis, e il suo breve dicastero (70 giorni) fu caratterizzato da una serie di importanti avvenimenti. Il 9 gennaio 1878 la morte di Vittorio Emanuele II e l'ascesa al trono di Umberto diedero modo a Crispi di garantire il formale insediamento di una monarchia unitaria attraverso l'assunzione da parte del nuovo re del nome di Umberto I Re d'Italia, anziché di quello di Umberto IV di Savoia. Le spoglie di Vittorio Emanuele furono sepolte nel Pantheon di Roma invece che essere trasferite al mausoleo dei Savoia a Superga. Il 9 febbraio 1879 la morte di Pio IX fu seguita dal primo conclave tenuto dopo l'unificazione dell'Italia.

    Crispi, con l'aiuto del cardinale Pecci, che in seguito diventerà Papa Leone XIII, persuase il Sacro Collegio a tenere il conclave a Roma e prorogò la durata della legislatura nel timore che la solennità dell'evento potesse altrimenti esserne disturbata. Le qualità di grande statista dimostrate in questa occasione non furono sufficienti ad evitare l'ondata di indignazione scatenata dagli oppositori di Crispi a seguito dell'accusa di bigamia, mossagli senza che a sostegno di essa vi fosse un qualsiasi fondamento legale. Crispi fu costretto a dimettersi, nonostante il fatto che il suo precedente matrimonio, contratto a Malta nel 1883 fosse stato dichiarato nullo, e che egli regolarizzasse in seguito la sua nuova unione con la signora Barbagallo.

    Per 9 anni la carriera politica di Crispi subì una battuta d'arresto, ma nel 1887 ritornò in carica come Ministro degli Interni nel governo Depretis, succedendo a Depretis stesso come Primo Ministro nel 1889.

    Una delle sue prime iniziative da capo del governo fu quella di recarsi in visita presso Bismarck, che desiderava consultare riguardo il funzionamento della Triplice Alleanza. Basando la propria politica estera su tale alleanza, integrata dal trattato navale con la Gran Bretagna (il cosiddetto naval entente), negoziato dal suo predecessore, Conte Robilant, Crispi assunse un atteggiamento risoluto nei confronti della Francia, interrompendo i lunghi e infruttuosi negoziati sul trattato commerciale franco-italiano, e declinando l'invito francese ad organizzare un padiglione italiano alla grande Esibizione Internazionale di Parigi del 1889.

    In politica interna Crispi completò l'adozione dei codici sanitario e commerciale e riformò l'amministrazione della giustizia. Abbandonato dai propri amici del Partito Radicale, Crispi governò con l'appoggio della Destra fino a quando, il 31 gennaio 1891 un'incauta allusione ad un preteso atteggiamento servile del partito conservatore nei confronti delle potenze straniere portò alla caduta del suo governo.

    Nel dicembre 1893 l'incapacità del governo Giolitti di ristabilire l'ordine pubblico in Sicilia (i Fasci siciliani) e in Lunigiana, ebbe come conseguenza la richiesta da parte dell'opinione pubblica del ritorno al potere di Crispi. Dopo aver riassunto l'incarico di Primo Ministro represse con forza le insurrezioni, e appoggiò con decisione le energiche misure correttive adottate dal Ministro delle Finanze Sonnino, per salvare le finanze dello stato italiano, duramente scosse dalla crisi del sistema bancario degli anni 1892-1893.

    La risolutezza di Crispi nella repressione dei moti popolari, ed il suo rifiuto sia di uscire dalla Triplice Alleanza che di sconfessare il proprio ministro Sonnino, causarono una rottura con il leader radicale Cavallotti, il quale lo attaccò con una spietata campagna diffamatoria. Un fallitto attentato subito ad opera di un anarchico portò ad una momentanea tregua, ma gli attacchi di Cavallotti presto ripresero più aspri che mai. Ciononostante nelle elezioni generali del 1895 Crispi ottenne una vastissima maggioranza, ma un anno dopo, la sconfitta dell'esercito italiano ad Adua durante la Prima guerra Italo-Abissina provocò le sue dimissioni.

    Il successivo governo Rudinì dette credito alle accuse di Cavallotti, e, alla fine del 1897 la magistratura chiese alla Camera l'autorizzazione a procedere contro Crispi con l'accusa di appropriazione indebita. Una commissione parlamentare incaricata di indagare sulle accuse mossegli, stabilì soltanto che Crispi, nell'assumere l'incarico di Primo Ministro nel 1893 aveva trovato il fondo di dotazione dei servizi segreti privo di disponibilità, e quindi aveva preso a prestito da una banca di stato la somma di 12.000 lire, da restituirsi con rate mensili garantite dal Tesoro.


    Ultimi anni

    La commissione, considerando questa procedura irregolare, propose alla Camera, che accettò, un voto di censura, ma si rifiutò di autorizzare l'incriminazione. Crispi si dimise dalla carica di parlamentare, ma fu rieletto a furor di popolo nell'aprile del 1898 nel suo collegio di Palermo. Per alcuni anni partecipò solo marginalmente alla vita politica, soprattutto a causa dell'incipiente cecità. Un riuscito intervento chirurgico gli restituì la vista nel giugno del 1900, e, nonostante avesse ormai 81 anni, riprese in buona misura la precedente attività. Presto, tuttavia, la sua salute peggiorò irreversibilmente, fino alla morte, sopraggiunta a Napoli il 12 agosto 1903.

    L'importanza di Crispi nella vita politica italiana dipende meno dalle molte riforme realizzate dalle amministrazioni da lui presiedute che non dal suo forte patriottismo, dalla sua forte e vigorosa personalità, e dalla sua capacità di governare i propri concittadini con la costante tensione di cui essi avevano in quell'epoca bisogno. In politica estera egli contribuì grandemente a sollevare il prestigio dell'Italia, sfatando la fama di inaffidabilità e indecisione guadagnata a causa della politica di molti dei suoi predecessori.

    Nei confronti della Francia, è vero che la sua politica apparve priva di tatto e moderazione, ma bisogna tener presente che la repubblica francese era allora impegnata in manovre diplomatiche anti-italiane, aventi lo scopo, sia rispetto ai rapporti col Vaticano che per quanto riguarda la politica coloniale, di creare le condizioni perché l'Italia si piegasse alle esigenze francesi ed abbandonasse la Triplice Alleanza. Crispi sarebbe stato disponibile a favorire buone relazioni con la Francia, ma si rifiutò di cedere alle pressioni e subire imposizioni, e in questo atteggiamento fu sostenuto dalla maggior parte dell'opinione pubblica italiana. Le critiche a cui andò incontro durante la sua carriera furono più dovute alle sfortunate circostanze della sua vita privata e alle malversazioni di alcuni suoi collaboratori, che approfittarono senza scrupoli del suo nome, che non a manchevolezze sue personali o del sua condotta politica.



    Julius Evola (Roma, 19 maggio 1898 - 11 giugno 1974), pseudonimo di Giulio Cesare Andrea Evola, fu un pensatore italiano del XX secolo.

    Le sue posizioni, vicine al fascismo e il nazismo, ne espressero una critica nella chiave del tradizionalismo. Mussolini, che ne apprezzò il lavoro, gli preferì in seguito Giovanni Gentile come teorico del fascismo. Le sue critiche, da posizioni ancora più radicali, gli valsero in Italia la sospensione di alcune sue pubblicazioni e in Germania il sospetto delle gerarchie naziste. La complessità del suo pensiero gli procurò, anche dopo la fine della guerra, un grande seguito negli ambienti conservatori italiani ed europei, dai nostalgici del nazifascismo fino a esponenti della destra più moderna.

    Sintesi del pensiero di Evola
    Evola fu propugnatore del tradizionalismo, ossia di un modello ideale e sovratemporale di società, attuato storicamente in alcune delle antiche civiltà, caratterizzato in senso aristocratico. Queste antiche società erano suddivise gerarchicamente sulla base della qualità naturale degli individui, di carattere ereditario e genetico dunque, invece che su criteri economici e materiali. In queste società antiche era fondamentale inoltre il senso del sacro, tradotto in simboli e riti ossia la Regalità Divina, la Iniziazione, l' Azione eroica o la Contemplazione, il Rito e la Fedeltà, la Legge tradizionale, la Casta, l'Impero.

    Questo stato e civiltà ritenuti superiori, basati sulla più elevata sfera metafisica e spirituale invece che sull'ordine fisico e materiale, furono cancellati secondo Evola dalla decadenza attualmente visibile nella civiltà occidentale (secondo lo schema delle quattro età di Esiodo: oro, argento, bronzo e ferro). La distruzione degli antichi valori fu per il filosofo il frutto delle idee illuministiche massoniche espresse nella Rivoluzione Francese e di una visione della realtà basata esclusivamente sull'esperienza corporea, che avrebbe impedito il superamento e la purificazione della natura umana nel divino e la sua liberazione dal divenire contingente.

    Il pensiero di Evola ha un carattere eroico. Ricercando la metafisica comune a tutte le tradizioni antiche, i suoi scritti si sforzano di ritrovare attraverso l'interpretazione dei simboli delle civiltà la presenza di una antica casta guerriera. Questa, secondo il filosofo, doveva essere collocata in cima alla gerarchia sociale, trascurando le caste sacerdotali e la loro supremazia. Il suo pensiero, pur influenzato da quello di Guénon e di Nietzsche, se ne differenzia tuttavia sino all'incompatibilità (specialmente con Nietzsche). Da Guénon derivava la base della dottrina tradizionale e da Nietzsche la difesa dei valori aristocratici e guerrieri e l'ostilità verso il Cristianesimo.

    Dalla Tradizione deriva il differenzialismo, ossia la concezione di una naturale diseguaglianza degli esseri umani ovvero delle loro potenzialità innate, che possono o non possono in seguito essere sviluppate. Ne è conseguenza l'antidemocrazia , accompagnata dalla critica al totalitarismo, anch'esso considerato espressione della società di massa. La società propugnata da Evola era dunque profondamente antidemocratica e basata sulla superiorità per nascita degli individui appartenenti alla casta più alta, gli unici in grado di raggiungere una più elevata spiritualità. Il pensiero del filosofo, in virtù dell'avversione all'ugualitarismo, era profondamente e radicalmente anticomunista: Evola in molte sue opere attacca con disprezzo l'ideologia, gli ideologi comunisti e i loro seguaci, considerandoli "subumani", in quanto espressione più bassa e animale dell'umanità.

    Così come ci sono differenze innate tra gli individui, ci sarebbero secondo Evola differenze tra le razze. La razza interiore di cui parla il filosofo, è definita come un patrimonio di tendenze e attitudini che a seconda delle influenze ambientali giungono o meno a manifestarsi compiutamente. L'appartenenza ad una razza si individua dunque sulla base delle caratteristiche spirituali, e solo in seguito fisiche, diventandone col tempo queste ultime il segno visibile. Evola criticava una concezione razziale che si basasse esclusivamente sui dati naturali e biologici perché, come scriveva, "la razza esiste sia nel corpo, sia nello spirito". La concezione spirituale della vita propria della Tradizione, come potenzialità innata ed ereditaria, sarebbe espressione propria dei ceppi umani superiori, identificati con le popolazioni di origine indoeuropea, pur non essendo propria solo di quelle genti: Evola estese la sua ammirazione a tutte le culture tradizionali, specie orientali e mediorientali. Secondo la concezione aristocratica e gerarchica propria dello spirito tradizionale, la razza tuttavia secondo Evola non potrebbe determinare da sola il valore di un individuo, cosa che livellerebbe tutti gli appartenenti ad un popolo con la democratizzazione del sangue, abbattendo le differenze di casta (per il filosofo necessarie), e introducendo un elemento egualitario.
    In quest'ambito si inserisce anche l'antisemitismo di Evola, sfumato nella accezione astratta che caratterizza il suo pensiero. Evola si contrappone alla Ebraicità, intesa come tendenza spirituale antitradizionale, la quale si sarebbe manifestata nella storia nel popolo ebraico, convertendo il suo spirito tradizionale degli inizi in una mentalità anti-tradizionale di tipo sovversivo in seguito a vicende di numerose sconfitte e sventure patite nella storia antica.

    L'importanza attribuita al progresso spirituale in contrapposizione a quello materiale in questa concezione, non impedisce al filosofo di attribuire il carattere di superstizione e irrazionalità al Cristianesimo come religione devozionale, opponendogli invece una conoscenza superiore, con aspetti esoterici (il nocciolo nascosto dalla scorza, concezione influenzata anche dalle tradizioni orientali). Questa conoscenza si raggiungerebbe attraverso un'ascesi che non costituisca tuttavia una mortificazione di sé, ma piuttosto una piena realizzazione dell'Io, secondo la concezione dell'individuo assoluto. Costui non subisce, secondo Evola, i condizionamenti del contingente, ma lo domina e trova autarchicamente in sé il centro di tutto, nel quale è compreso anche il mondo esterno, venendo così a coincidere con il divino.

    Attualmente il complesso pensiero del filosofo è ancora studiato in molte nazioni e diversi autorevoli studiosi individuano nella speculazione evoliana l'utopia di un profeta disperato e disperante. Nelle opere evoliane emerge la disillusione per una civiltà mondiale, ed europea in particolare, che gli appare irrimediabilmente in rovina, non esistendo a suo avviso una categoria adeguata di persone che possa dirigere la società ideale in modo organizzato e gerarchico. Nell'opera Cavalcare la tigre arriva a proporre una soluzione di tipo anarchico: considerando che non esistono capi eroici per i quali sacrificarsi, afferma, tanto vale orientarsi all'individualismo.




    Ragazzi, se qualcuno vuole aggiungere un pensiero personale, lo faccia pure, purchè non risulti offensivo e provocatorio. Idem, per le discussioni: parlate liberamente.


    LEONIDA

    "E in questa mischia cadde anche Leonida, che si era dimostrato uomo di straordinario coraggio, e con lui gli altri Spartiati, i nomi dei quali ho voluto sapere, come uomini degni che se ne serbi memoria…".
    Erodoto non nasconde la propria totale ammirazione per un uomo la cui fama eroica non è mai venuta meno, un generale che risponde appieno ai canoni di valore e sacrificio tipici della sua città d'origine, Sparta. Leonida è in tutti i sensi l'eroe, colui che con un manipolo formato da 300 fedelissimi e da 700 volontari di Tespe si frappose tra il resto della Grecia e la travolgente armata persiana che Erodoto ritiene composta, esagerando oltremodo, da circa due milioni di persone. L'esercito persiano giunse alle Termopili, un passo strategico per l'ingresso prima nella Locride e poi in Attica, nel luglio del 480: ad attenderli era stato preposto un contingente di circa seimila uomini, ma dopo il tradimento di Efialte, che permise ai Persiani di accerchiare i Greci tramite un sentiero che solo pochi conoscevano, quasi tutti diedero in ritirata, lasciando Leonida con i 300 opliti spartani e il contingente dei volontari tespiesi. La battaglia si scatenò feroce, come lo stesso Erodoto non manca di sottolineare, scrivendo che "i Greci sapevano che su di loro incalzava la morte per mano di coloro che stavano aggirando il monte, ma spiegarono contro i Barbari tutte le forze che avevano in corpo con pieno disprezzo della vita, battendosi come forsennati". Morirono tutti, morirono eroicamente, tanto che ancora oggi, sul luogo del massacro, rimane questa lapide:"Va' o passeggero, narra a Sparta che noi qui morimmo in obbedienza alle sue leggi".


    Leon Degrelle

    Nato da una famiglia di origine francese espatriata nel 1901, dopo l’espulsione dei gesuiti di Francia, Leon Degrelle frequentò la scuola al Collegio di Notre Dame de la Paix a Namur (Belgio). Durante il periodo degli studi a Loviano (1927 – 1930) inizia ad occuparsi di giornalismo (L’Avant Garde), di letteratura e di poesia. Nel 1929 diventa redattore capo del quotidiano "Il XX Secolo" di Bruxelles. Viaggia in Italia, conosce il Fascismo e l’Azione Cattolica. Vive qualche tempo in Messico, clandestino, in mezzo ai partigiani cattolici, i "Cristeros". Tornato nel 1931 dirige l’Azione Cattolica belga e poi, nel 1935, fonda il movimento Rex. Come nella maggior parte degli Stati europei, negli anni tra i due conflitti mondiali, la democrazia parlamentare fu messa in causa da molti settori politici perché non riusciva a risolvere lo stato di crisi del Belgio. Dentro al partito cattolico i tentativi di rinnovamento si diversificarono in varie direzioni: la decristianizzazione voluta da Picard cercava di raccogliere simpatie a sinistra, mentre l’altra corrente, di carattere borghese, seguiva una linea politica filo – francese ed antitedesca. Solo Degrelle riuscì a superare questa crisi grazie alla sua figura di leader oratore, giornalista, poeta, deputato e soldato. Appoggiò in pieno la causa Nazionalsocialista, tanto che decise di partire con un gruppo di volontari per il fronte dell’Est l’8 agosto 1941 come soldato semplice. Tra il ’41 ed il ’43 combattè sul Caucaso, conquistando i gradi sul campo di battaglia fino a diventare un comandante della Waffen SS. Continuò la sua scalata nella scuola di Bad Tolz. Tornato in Russia, si distinse nel rompere l’accerchiamento sovietico a Tcherkassy. Fu convocato da Hitler che lo designò Cavaliere della Croce di ferro, rendendolo popolarissimo anche in Germania. A guerra ormai perduta riuscì rocambolescamente a raggiungere le coste spagnole dove iniziò il suo dopoguerra fra alti e bassi finanziari, ma sempre fermo nella sua fede. Riportiamo di seguito alcuni brani tratti da un’intervista avvenuta nella sua casa di Malaga il 1°marzo 1988.

    "Noi (…) eravamo soldati che proiettavano nella lotta le loro idee, e che si preparavano alla costruzione dell’Europa. Ma questa concezione dell’Europa non è arrivata subito (…). È stata la guerra che, spingendo i Tedeschi fuori dal proprio Paese ha fatto capire loro cosa succedeva negli altri Paesi. Ha fatto anche sì che negli altri Paesi vedessero i Tedeschi e potessero rendersi conto di cosa fossero, e che eravamo tutti degli europei, nonostante tutte le lotte e gli odi eravamo tutti la stessa gente (…). C’era il grande motore germanico, la Germania è nel centro dell’Europa, è un Paese che ha il senso dell’organizzazione, del lavoro, della perfezione, vi stava benissimo come elemento trainante. Ma accanto esisteva tutto questo meraviglioso mondo occidentale e la sua civiltà bimillenaria. Che cos’era Berlino con i maiali che camminavano nella sabbia della strada, mentre Parigi era uno dei centri maggiori dell’universo, 1500 anni dopo che Roma era stata la capitale del Mondo? Era evidente che questo progetto germanico da solo non avrebbe mai potuto fare l’Europa, aveva bisogno del grande sostegno occidentale, ed è lì che ho concentrato i miei sforzi, per far risorgere una grande unità occidentale da unire al centro Europa ma anche all’universo mondo slavo (…). Questo è sempre stato il mio progetto (…). L’Europa dal Mare del Nord fino a Vladivostok. Un’Europa che avrebbe dato ai giovani di oggi qualsiasi possibilità, un’Europa di 10000 Km di estensione per le attività di tutta la gioventù, invece di avere, come oggi, 16 milioni di disoccupati nel mercato comune. Tutti questi giovani avrebbero potuto realizzare qualsiasi cosa passasse loro per la testa (…)

    Chiaramente, noi abbiamo perso la guerra non perché ci mancasse coraggio; per quattro anni l’epopea dell’Europa sul fronte russo è stata la più grande avventura militare della storia. Anche questo è incredibile, che la gente non dia importanza ad un fatto del genere (…), che per quattro anni ci sia stato un fronte favoloso, di 3000 Km di lunghezza, una lotta che ha messo di fronte decine di milioni di uomini; il caso delle Waffen SS, un esercito di un milione di volontari, non si era mai vista una cosa simile. Di questo non se ne parla, né dell’eroismo inaudito che è stato dimostrato. Si pensi solo al percorso da Stalingrado a Berlino; abbiamo resistito 1000 giorni, 1000 giorni resistendo palmo a palmo, sacrificio dopo sacrificio, centinaia di migliaia di uomini che morivano per impedire che i sovietici avanzassero troppo in fretta. Con Stalin che diceva: "Lo zar è andato a Parigi. Ci andrò anch’io". Era evidente che se avessimo fatto come i francesi nel 1940, squagliarcela quando la lotta diventava troppo pericolosa, i russi avrebbero conquistato tutta l’Europa in un batter d’occhio, molto prima che gli americani sbarcassero in Normandia, 1000 giorni! E se avessimo resistito soltanto 100 giorni, sarebbero arrivati a Parigi o sarebbero andati a dormire nel letto del maresciallo Petain a Vichy. Noi abbiamo salvato l’Europa o quanto ne rimane ancora adesso. Se i francesi non sono come i cecoslovacchi è unicamente perché siamo morti a migliaia per loro. E allora invece di insultarci dalla mattina alla sera ci dovrebbero dire: "Siete stati veramente bravi, grazie!" (…). Si dice sempre: "Ma perché Hitler si è lanciato in questa avventura?". Si è lanciato perché, se avesse aspettato un anno o due, Stalin sarebbe arrivato di corsa. Ora ci sono tutti i documenti che stabiliscono che aveva creato più di 120 nuove divisioni, 60 nuovi campi di aviazione. Che già allora era arrivato ad avere 32000 carri armati contro i 3000 dei tedeschi; è in quel momento che hanno preteso i Balcani e abbiamo capito che era finita. (…) La vittoria degli altri è stata un disastro. Tutto quello che hanno portato è una falsa civiltà, la civiltà americana, purtroppo, la civiltà dei consumi, del piacere, si pensa solo ad andare a divertirsi, gioie passeggere; la vita di famiglia è stata annientata, la vita religiosa distrutta: tutto questo è molto demoralizzante. Un giovane si chiede: "Ma cosa si può fare? (…) Ma si può ancora sperare?". Rispondo loro: in tutte le epoche nel mondo ci sono state grandi crisi e a volte quando non è stato fatto uno sforzo tutto è crollato, come ad esempio la caduta dell’Impero Romano; prima c’era stata quella della Grecia, prima quella dell’Egitto. Ma ci sono state anche grandi rinascite, come ad esempio l’Italia che ha vissuto la decomposizione e ora è più importante dell’Inghilterra; la Germania, che 50 anni fa non era altro che rovine, ora è un Paese fiorente. Significa che si può sempre ricreare. Diranno: "Ma non siamo numerosi", ma non è un numero a fare la forza dei popoli e dei grandi movimenti rivoluzionari, è la potenza dell’anima, è la gente con una grande volontà, un grande ideale che si vuole vedere trionfare (…). Ebbene è a questo che bisogna credere, credere che tutte le possibilità sono nell’uomo, che se i giovani le vogliono e lo vogliono, un giorno troveranno l’opportunità e un giorno nascerà l’uomo, perché tutto è una questione di uomini. È il grande uomo a raccogliere le aspirazioni di tutti e a farle vincere. E la sfortuna dell’Europa di oggi è che non c’è nessuno. Ai nostri tempi ce n’erano finché si voleva: c’era Hitler, c’era Mussolini, c’ero io in Belgio, c’era Franco, c’erano i polacchi, c’erano i turchi, tutti avevano un capo, era sorprendente; ora non ci sono più che larve politiche (…). Per 50 anni l’Europa sono stati incapaci di farla, dopo 50 anni sono ancora lì che dissertano di miserabili questioni finanziarie, questioni di salami e maiali, di polli; sono ancora lì. Così si vede che questa soluzione è falsa; la sola vera è quella che abbiamo avuto noi (…). Sul caminetto del mio esilio ho fatto incidere queste parole: "Un po’ di fuoco in un angolino del mondo e tutti i miracoli di grandezza restano possibili." Tutto è possibile, ragazzo ragazza che mi ascolti, fede nella vita!".
     
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  2. ~}GøLiAs{™
     
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    NAPOLEONE BONAPARTE
    (Ajaccio 1769 - Sant'Elena 1821). Condottiero e statista francese, imperatore dei francesi (1804-1814 e 1815). Appartenente alla piccola nobiltà provinciale corsa, studiò nel collegio di Autun, poi nelle scuole militari di Brienne e di Parigi. Nominato sottotenente di artiglieria (1785), alternò la vita di guarnigione a lunghi soggiorni in Corsica dove si legò al partito di Pasquale Paoli. Quando però questi insorse contro la Convenzione rivendicando l'indipendenza dell'isola, Napoleone e la sua famiglia, ritenuta filofrancese, dovettero fuggire a Marsiglia (1793). Divenuto fervido sostenitore della causa giacobina, si distinse nell'assedio di Tolone, occupata dagli inglesi, e fu nominato generale di brigata. Arrestato dopo il colpo di stato del termidoro e radiato dall'esercito, tornò rapidamente in auge allorché Barras gli affidò il compito di reprimere il colpo di stato realista del 13 vendemmiaio (1795). Avuto il comando dell'armata in Italia contro gli eserciti della prima coalizione, le vittorie conseguite (1796-1797) lo affrancarono progressivamente dalla subordinazione al Direttorio. Forte del prestigio conquistato sul campo, impose una linea diplomatica e scelte sull'assetto istituzionale dei territori conquistati che si discostavano dalla politica ufficiale. La successiva spedizione in Egitto (17981799), destinata a colpire l'Inghilterra nei suoi traffici in oriente, non fu un completo successo. Ben più gravi furono, tuttavia, le sconfitte subite dalle armate francesi in Europa che screditarono completamente il Direttorio. Il diciotto brumaio Napoleone volse la situazione a suo favore instaurando una dittatura militare nelle forme sancite dalla costituzione dell'anno VIII (1799) in base alla quale fu proclamato primo console. Successivi plebisciti popolari gli consentirono il passaggio al consolato a vita (1802) e, infine, all'impero (1804). Strenuo fautore di una riorganizzazione dello stato fondata su un forte potere esecutivo e sull'accentramento amministrativo, Bonaparte sottopose l'intero territorio francese al controllo del governo centrale tramite l'azione dei prefetti e dei sindaci che erano di nomina governativa. In ambito giuridico realizzò un'imponente opera di omogeneizzazione degli ordinamenti legislativi, ponendo fine alla molteplicità delle fonti del diritto che aveva caratterizzato la Francia di antico regime. In particolare fu di grande importanza il Codice civile che, esteso a tutti gli stati annessi o vassalli, sancì i principi della libertà individuale, dell'uguaglianza giuridica e della proprietà privata. Napoleone si sforzò di riorganizzare le finanze pubbliche e istituì la Banca di Francia, liberando lo stato dalla dipendenza dai banchieri privati. Per favorire la pace sociale riammise gli emigrati monarchici disposti a giurare fedeltà al regime e soddisfece le istanze dei cattolici stipulando un concordato con la Santa sede (1801) con il quale si riconosceva il cattolicesimo come religione della maggior parte dei francesi. La politica estera perseguita da Bonaparte gli consentì, con la forza delle armi (guerre napoleoniche), di riorganizzare temporaneamente l'Europa centroccidentale in modo conforme agli interessi francesi, introducendo tuttavia profonde riforme negli assetti istituzionali e sociali dei paesi assoggettati.
     
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  3. Bolognesedoc!!
     
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    CESARE MORI

    Abbandonato neonato in un orfanotrofio di Pavia il 1°gennaio 1872 e riconosciuto come figlio da Felice Mori e Pizzamigli Rachele nel 1 gennaio 1880(s'erano sposati il 14 ott 1879).
    Nel 1891 è sottotenente d'artiglieria,innamoratosi d'Angelina Salvi,lascia l'esercito il 20 giugno 1896 perchè il padre di questa non poteva o voleva pagare la "dote militare"(10000 c.ca)si sposano il 17 gennaio 1897.
    Dopo un primo fallimento,il 19 aprile 1898 supera1° su 107 un concorso per entrare nelle forze dell'ordine e,nel maggio 1898,è delegato della pubblica sicurezza a Ravenna,in quel periodo sconvolta da agitazioni.
    Combatte con durezza i gruppi sovversivi(repubblicani,socialisti,anarchici ecc)pur talvolta aperto al dialogo,sopratutto quando si tratta di manifestazioni pacifiche.
    Nel nov 1903,dopo aver fatto un buon lavoro colla squadra politica,è promosso a commissario di 4°classe.
    Durante una campagna di repressione d'armi bianche da lui iniziata quello stesso anno perquisisce il sindaco in un bar repubblicano e,i giornali di quello schieramento si scagliano contro di lui con tale foga da ottenerne il trasferimento il 3 aprile 1904.
    Mandato a Castelveltrano(Trapani) dove uccide personalmente almeno 3 briganti,ne arresta altri,sventa rapimenti,tentativi di pressione elettorale,resiste a tentativi d'intimidazione della mafia e sfugge ad attentati.
    Dopo essere stato mandato a Firenze nel 1915,dopo lo scoppio della guerra è nuovamente in Sicilia,questa volta per sopprimere il rinato brigantaggio alimentato anche dai renitenti alla leva.
    Eliminato il brigantaggio vorrebbe cominciare con la mafia,ma è trasferito a Torino come questore.
    Poi trasferito a Roma ed infine a Bologna dove,come nelle altre città,si distingue per l'azione repressiva verso chiunque violi la legge scontrandosi quindi non solo coll'estrema sinistra,ma anche con i fascisti d'Arpinati nonstante molti funzionari delle forze dell'ordine fossero restii a combattere gli squadristi per i quali provavano simpatia.
    Nominato per poco tempo "prefettissimo" della valle padana da Giolitti si rinuncia al progetto per la scarsa obbedienza dei prefetti a lui sottoposti.
    Assediato nel suo studio dai fascisti a fine magio 1922.Questi,dopo un accordo col governo,il 2 giugno si ritirano e,il 23 giugno invitato a scegliersi un'altra sede,lui dice che faccia il ministero che lo manda in Pugli,il 18 nov 1922 è dispensato dal servizio attivo.
    Il 20 ottobre 1925 è nominato da Mussolini,su proposta di De Bono,prefetto di tutta la Sicilia per eliminare la mafia(Mussolini avrebbe preferito qualcun'altro,ma il migliore era lui)col mandato di "colpire in alto come in basso".
    Il suo programma era:
    -Affermarsi tra la gente con un grande successo.
    -riconquistare l'appoggio popolare
    -rendere la mentalità della gente più resistente alla mafia
    -sfruttare alcuni elementi culturali isolani
    -educare i giovani
    -distinguere tra mafia e mafia e malvivenza
    -battere la malvivenza nel sistema associativo e nelle basi d'appoggio
    -battere la mafia negl'uomini,nel prestigio,nelle finanze,nella forza intimidatoria e nella rete d'interessi.
    Prima ancora d'arrivare s'ha una petizione di 400(si scoprirà che,in realtà erano 6)"fascisti trapanesi della 1° ora" che non volevano il "prefetto socialista",ma Mussolini li fa espellere dal partito.
    Dopo un successo contro bassa mafia(quasi briganti)nella conca d'oro,ottiene il grande successo a Gangi,città completamente controllata da 4 clan(Ferrarello,Andaloro,Dina e Lisuzzo)che avevano fatto scavare rifugi sotterranei collegati tra loro sotto tutto il paese.Ci riuscì senza quasi combattere,cosa che voleva evitare erchè,se fosse stato sconfitto,i criminali sarebbero sembrati eroi e,se anche avesse vinto,sarebbero stati dei martiri,mentre,se si fossero arresi senza combattere,sarebbero sembrati solo dei codardi.
    Perciò assediò Gangi isolandola completamente dall'esterno(tolto anche il telegrafo),sequestrò i beni dei criminali dalle fattorie intorno e,dopo una retata di chi non s'era rifugiato nei sotterranei,macella le bestie dei mafiosi deistribuendone la carne nel paese e ne arresta i familiari facendo anche circolare voci di maltrattamenti verso di loro,sopratutto le donne per indurre i criminali ad arrendersi per far liberare la famiglia,inoltre lui ed i suoi collaboratori sfidano a duello i capi nemici che non si presentano.
    Il 6 gennaio s'arrendono anche i capi e,un tizio che riesce ad evadere è catturato dai paesani che aiutano la polizia.
    Sull'onda del successo,che ebbe anche risonanza internazionale,scatenò un'ondata d'arresti di livello più che altro basso(voleva agire dal basso verso l'alto,probabilmente per ottenere il consenso popolare eliminando prima le realtà con cui la gente era in immediato contatto)tranne qualcuno come Francesco Cuccia e Don Vito Cascio Ferro.
    Intorno al 1926 ha,come procuratore generale,Luigi Giampietro,molto severo che pensa che "la mitezza sia debolezza" e che l'assoluzione per assenza di prove è "un compromesso con la coscienza",tuttavia i suoi colleghi,nei casi di processi all'alta mafia,sono ancora troppo malleabili,tuttavia riuscirà a rendere più veloci i processi ed a creare i "maxiprocessi".
    Nel frattempo il tiro di Cesare s'alza e,il 4 aprile 1926,durante un rastrellamento a Mistretta,nella casa dell'avvocato Antonio Ortoleva,si trovano documenti che provavano il coinvolgimento di moltissime persone d'alta società tra cui il generale Antonino di Giorgio e(sebbene non fosse un vero mafioso,ma avesse comunque trafficato con quella gente in maniera non molto pulita)il capo del fascio di Palermo Alfredo Cucco,ma per il momento decide rinviarne l'arresto e non dir niente a nessuno.
    Intanto cerca di far sì che la gente comune si difenda da sola contro i banditi,i criminali ed i mafiosi,costituendo anche una milizia rurale e progetta una riforma scolastica per combattere la mentalità mafiosa.
    Il 5 novembre 1926 viene informato del fatto che Cucco cercava,con le sue amicizie altolocate di farlo trasferire,ma ne ottiene l'arresto,il 27 maggio 1927 è elogiato in parlamento da Mussolini e,successivamente sventa una congiura d'Antonino di Giorgio che si ritira a vita privata.
    Tuttavia l'alta mafia già da tempo lo diffamava presso il duce tramite lettere anonime in cui se ne denuciava anche la popolarità insinuando che si credesse più importante del duce e forse dopo un po' fece effetto perchè,il 16 giugno 1926 è nominato senatore e mandato a Roma mentre si proclama che la mafia è scomparsa e Luigi Giampietro è richiamato a Roma ed Alfredo Cucco viene dichiarato innocente al processo che stava ancora subendo.
    Gran parte delle informazioni le ho prese da "il prefetto di ferro" di Arrigo Petacco che ipotizzava anche contatti d'un certo livello tra il duce ed alcuni mafiosi da cui avrebbe anche ottenuto favori tuttavia credo ciò sarebbe stato messo in evidenza dopo la caduta del regime ed adesso sarebbe risaputo.
    Salvatore Lupo è ancora più critico dicendo che Cesare era più preoccupato ad opprimere ed arrestare contadini ed ad appoggiare i proprietari terrieri che a combattere la mafia(pur dicendo più avanti che a Corleone la mafia non esisteva dopo la 2° guerra mondiale grazie a Mori e che dovette essere rifondata e che la mafia decise di non aiutare Borghese nel suo tentativo di colpo di stato perchè si ricordava di Mori).
    Tuttavia è strana la rimozione(motivata per le pressioni di mafiosi infiltrati nel partito secondo Petacco e per la sua eccessiva popolarità per altri) nel 1929 che sembra effettivamente troppo frettolosa se è vero che,accanto al titolo d'un giornale che diceva che il Duce si congratulava con Mori per la sua opera lui ha scritto"che qui riposa in pace"(ovviamente riferito all'opera)tuttavia l'ho preso dal libro di Petacco per cui sta a voi crederci o no.
    Cesare Mori da senatore si preoccupò della situazione meridionale cercando di portare in aula l'argomento(contro il desiderio dell'autorità),poi fu mandato a fare bonifiche nel nord ed infine morì poco dopo la moglie nel 5 luglio 1942 durante la 2°guerra mondiale cui era contrario.
     
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  4. Dux87
     
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    Gabriele d'Annunzio (Pescara 12 marzo 1863 - Gardone Riviera 1 marzo 1938)

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    Poeta e drammaturgo italiano, simbolo del decadentismo ed eroe di guerra, oltre a quella letteraria ebbe anche un'eccentrica carriera politica.

    Oltre ad essere stato affascinato dalle opere e dalla vita del poeta, vorrei citare una breve cronistoria dal '14 in poi, dalla causa interventista ai legami con il fascismo e la "rivalità" con Mussolini, passando per l'impresa Fiumana.


    1914
    24 luglio: inizio delle ostilità
    13 agosto: pubblica sul «Figaro» L'Ode pour la Résurrection latine, pregna di solidarietà verso la causa alleata.
    30 settembre: dopo aver visitato il fronte francese a Soissons, d'Annunzio pubblica sul «Journal» un articolo interventista.
    1915
    15 marzo: In compagnia di Ugo Ojetti, si reca sugli avamposti di Reims e invia le sue testimonianze al «Corriere della Sera» perorando la causa interventista
    3 maggio: D'Annunzio lascia il suolo francese per tornare in Italia
    5 maggio: Orazione per la sagra dei Mille per l'inaugurazione del monumento garibaldino di Quarto, con cui inizia la serie di discorsi a favore della causa interventista del 'maggio radioso', poi raccolti in Per la più grande Italia
    7 maggio: discorso agli esuli dalmati a Genova
    12 maggio: orazione all'Hotel Regina di Roma
    13 maggio: Arringa al popolo di Roma in tumulto
    17 maggio: ultima orazione romana dalla ringhiera del Campidoglio
    24 maggio: Alla dichiarazione di guerra italiana, d'Annunzio si arruola, benché dispensato per motivi di età. Il Poeta si trasferisce a Venezia, assegnato come tenete di complemento al quartier generale del Duca d'Aosta, comandante della Terza Armata
    Luglio: missione aerea sull'Adriatico
    21 luglio: discorso ai marinai scampati all'affondamento dell'incrociatore Amalfi
    7-28 agosto: volo su Trieste
    18-19 agosto: siluramento nel Golfo di Panzano
    20 agosto: volo da Asiago a Trento
    Ottobre: stanziatosi presso la Casetta Rossa sul Canal Grande, d'Annunzio prende parte a una serie di escursioni sul fronte e sul Carso
    1916
    16 gennaio: durante un atterraggio di fortuna, mentre è in volo alla vota di Zara, d'Annunzio batte la tempia destra contro la mitragliatrice di prua perdendo per sempre l'uso dell'occhio destro
    Gennaio-settembre: d'Annunzio trascorre a Venezia nove mesi in convalescenza, assistito dalla figlia Renata
    Settembre: nonostante le perplessità dei medici, d'Annunzio torna al fronte, fregiato della sua prima medaglia d'argento
    13 settembre: bombardamento aereo delle posizioni militari di Parenzo
    10-12 ottobre: d'Annunzio si fa assegnare alla XLV divisione fanteria e partecipa all'attacco del Veliki e del Faito
    Ottobre-novembre: VIII e IX battaglia dell'Isonzo; d'Annunzio merita la seconda medaglia d'argento e la promozione a capitano
    1917
    Gennaio-aprile: d'Annunzio riceve la Croix de guerre e rimane alcuni mesi in congedo
    Aprile: d'Annunzio ottiene il comando della VIII Squadriglia da bombardamento del IV raggruppamento nel campo di aviazione della Comina. Viene insignito della terza medaglia d'agento
    23 maggio: azione di bombardamento in appoggio all'avanzata della Terza Armata
    25 maggio: bombardamento dell'alto Medeazza
    28 maggio: d'Annunzio partecipa all'azione dei Lupi di Toscana per conquistare la Quota 28 al fianco del maggiore Randaccio, che cade fra le sue braccia in battaglia; in suo onore è l'orazione funebre La corona del fante
    3-4 agosto: volo su Pola per bombardare le posizioni nemiche
    8-9 agosto: all'urlo Eia Eia Eia Alalà!, d'Annunzio ripete il bombardamento di Pola e guadagna la promozione a maggiore
    21-23 agosto: d'Annunzio partecipa all'offensiva aerea su Chiapovano, sulla Bainsizza e sul rovescio dell'Hermada. Ferito al polso, viene premiato con la quinta medaglia d'argento commutata nella croce di cavaliere dell'ordine militare di Savoia
    4-5 ottobre: bombardamento delle Bocche di Cattaro che gli vale la prima medaglia di bronzo
    24 ottobre: benché febbricitante, d'Annunzio pronuncia numerosi discorsi per rincuorare gli eserciti dopo la sconfitta di Caporetto
    1918
    10-11 febbraio: d'Annunzio colpisce l'opinione pubblica con 'La Beffa di Buccari': il siluramento di un piroscafo austriaco nella baia di Buccari, a bordo di tre Mas, con una trentina di uomini guidati da Costanzo Ciano
    Marzo: d'Annunzio assume il comando della I Squdriglia navale di siluranti aeree e partecipa con Ciano a nuove missioni navali
    Maggio-Luglio: d'Annunzio forma la Squadra San Marco e partecipa ad azioni di attacco e ricognizione, come il bombardamento di Pola
    2 agosto: primo tentativo di volo su Vienna
    8 agosto: secondo tentativo di volo su Vienna
    9 agosto: d'Annunzio raggiunge in volo Vienna, lanciando sulla capitale nemica 40.000 volantini con un suo testo italiano e altri 350.000 con un testo di Ojetti in lingua tedesca. In entrambi i messaggi è contenuta una provocatoria esortazione alla resa. L'impresa gli vale la medaglia d'oro, che viene commutata nella promozione a ufficiale dell'Ordine militare di Savoia
    24 ottobre: inizia la grande offensiva lanciata dal generale Diaz che si concluderà con la la battaglia di Vittorio Vento. Durante le operazioni, d'Annunzio conduce la sua squadriglia tre volte sul nemico. Le ultime imprese gli valgono la promozione a tenente colonnello e la medaglia d'oro, consegnatagli personalmente dal Duca d'Aosta
    Novembre: fine delle ostilità; d'Annunzio, nel corso della guerra viene decorato con sei medaglie d'argento, due d'oro, una di bronzo, la Croce di Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia e tre promozioni per meriti di guerra.Tuttavia, solleva l'opinione pubblica contro le decisioni prese da Wilson e dagli Alleati alla Conferenza di Parigi, ribadendo l'italianità di Fiume e della Dalmazia

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    1919
    14-15 gennaio: d'Annunzio pubblica sulla «Gazzetta di Venezia», sull'«Idea nazionale» e sul «Popolo d'Italia» una Lettera ai Dalmati pregna di ideali irredentisti
    11 marzo: In onore della laurea conferitagli honoris causa dalla Sapienza di Roma, il Poeta rivolge una Lettera agli studenti dalmati sull'«Idea nazionale»
    4 maggio: d'Annunzio pronuncia una violenta invettiva contro Wilson
    6 maggio: orazione ai reduci dalla ringhiera del Campidoglio
    12 maggio: discorso agli aviatori nel campo di Centocelle
    26 maggio: L'«Idea nazionale» pubblica l'opuscolo L'italia alla colonna e la vittoria col bavaglio, discorso dannunziano che il governo impedì all'Augusteo il 24 maggio
    28 maggio: orazione irredentista in Piazza delle Terme a Roma
    9 giugno: attraverso l'articolo Pentecoste d'Italia, pubblicato sul «Popolo d'Italia», viene ribadita l'italianità di Fiume
    23 giugno: d'Annunzio scrive per l'«Idea nazionale» Il comando passa al popolo
    26 giugno: con un'altro intervento sull'«Idea nazionale», L'erma bifronte, d'Annunzio condanna il governo italiano
    1 luglio: Disobbedisco, nuovo articolo irredentista
    9 luglio: L'ala d'Italia è liberata, discorso di Centocelle
    11 settembre: d'Annunzio in divisa da tenente colonnello dei Lancieri di Novara, a bordo di una Fiat tipo 4, raggiunge a Ronchi un gruppo di ufficiali dell'esercito, decisi a liberare Fiume
    12 settembre: alla testa di un esercito di 2000 uomini, d'Annunzio viene accolto a Fiume come liberatore, occupando la città in nome del Regno Italiano. La cittadinanza lo nominza governatore
    13 settembre: il generale Pittaluga, aquartierato con le truppe alleate a Fiume, cede i poteri al Comandante. Incomincia la reggenza dannunziana di Fiume
    1920
    8 settembre: Il Comandante approva il Disegno di un nuovo ordinamento dello Stato libero di Fiume ovvero Carta del Carnaro, radatta da Alceste De Ambris
    12 novembre: Il Trattato di Rapallo decreta l'indipendenza di Fiume e occasiona l'ultimatum del generale Caviglia per lo sgombero dei legionari da Fiume
    26 novembre: due giorni dopo la scadenza dell'ultimatum viene attaccato il palazzo del govenro di Fiume, dove il Comandante viene lievemente ferito
    26 dicembre: Nel Messaggio agli Italiani, d'Annunzio dichiara e giustifica la resa dopo gli scontri del 'Natale di Sangue' fra legionari ed esercito regolare
    28 dicembre: d'Annunzio rassegna le dimissioni dal Governo provvisiorio della Reggenza
    1921
    18 gennaio: d'Annunzio lascia Fiume dopo numerosi discorsi di commiato dai legionari
    1922
    Gennaio: d'Annunzio appoggia la Federazione Italiana dei Lavoratori del Mare del sindacalista Giuseppe Giulietti, che verrà fagocitata dal regime
    27-28 maggio: d'Annunzio ospita Georgij Vasil'evic Cicerin, commissario sovietico agli affari esteri
    3 agosto: discorso dal balcone di palazzo Marino a nazionalisti e fascisti
    13 agosto: a causa di una misteriosa caduta dalla finestra sfuma l'incontro di d'Annunzio con Francesco Saverio Nitti e Benito Mussolini per la pacificazione nazionale
    28 ottobre: d'Annunzio assiste incredulo alla marcia su Roma
    2 novembre: Il Comandante pubblica sulla «Patria del popolo», organo dei legionari, il messaggio L'alto monito di Gabriele d'Annunzio alla giovinezza italiana
    1924
    Isolato e vigilato da Mussolini al Vittoriale, d'Annunzio riceve il titolo nobiliare di Principe di Montenevoso, e si fa donare la nave Puglia e il MAS di Buccari.
    1933
    9 ottobre: d'Annunzio scrive una lettera a Mussolini, avversando gli accordi che il Duce stringe con la Germania di Adolf Hitler
    1934
    12 luglio: dopo l'incontro fra Hitler e Mussolini a Venezia, d'Annunzio si affatica per l'interruzione dei rapporti italo-tedeschi sia per via epistolare che di persona; seguirà anche una Pasquinata dissacratoria contro il dittatore tedesco
    1937
    30 settembre: ultimo incontro con Mussolini: d'Annunzio raggiunge il Duce alla stazione di Verona, per dissuaderlo dall'alleanza con la Germania nazista
     
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    giovanni falcone
    Nato a Palermo (via Castrofilippo) il 20 maggio 1939, da Arturo, direttore del Laboratorio chimico provinciale, e da Luisa Bentivegna, Giovanni Falcone conseguì la laurea in Giurisprudenza nell'Università di Palermo nell'anno 1961, discutendo con lode una tesi sull' "Istruzione probatoria in diritto amministrativo". Era stato prima, dal '54, allievo del Liceo classico "Umberto"; e quindi aveva compiuto una breve esperienza presso l'Accademia navale di Livorno.
    Dopo il concorso in magistratura, nel 1964, fu pretore a Lentini per trasferirsi subito come sostituto procuratore a Trapani, dove rimase per circa dodici anni. E in questa sede andò maturando progressivamente l'inclinazione e l'attitudine verso il settore penale: come egli stesso ebbe a dire, "era la valutazione oggettiva dei fatti che mi affascinava", nel contrasto con certi meccanismi "farraginosi e bizantini" particolarmente accentuati in campo civilistico.

    A Palermo, all'indomani del tragico attentato al giudice Cesare Terranova (25 settembre 1979), cominciò a lavorare all'Ufficio istruzione. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici gli affidò nel maggio '80 le indagini contro Rosario Spatola, vale a dire un processo che investiva anche la criminalità statunitense, e che, d'altra parte, aveva visto il procuratore Gaetano Costa - ucciso poi nel giugno successivo - ostacolato da alcuni sostituti, al momento della firma di una lunga serie di ordini di cattura. Proprio in questa prima esperienza egli avvertì come nel perseguire i reati e le attività di ordine mafioso occorresse avviare indagini patrimoniali e bancarie (anche oltre oceano), e come, soprattutto, occorresse la ricostruzione di un quadro complessivo, una visione organica delle connessioni, la cui assenza, in passato, aveva provocato la "raffica delle assoluzioni".
    Il 29 luglio 1983 il consigliere Chinnici fu ucciso con la sua scorta, in via Pipitone Federico; lo sostituì Antonino Caponnetto, il quale riprese l'intento di assicurare agli inquirenti le condizioni più favorevoli nelle indagini sui delitti di mafia. Si costituì allora, per le necessità interne a queste indagini, il cosiddetto "pool antimafia", sul modello delle èquipes attive nel decennio precedente di fronte al fenomeno del terrorismo politico. Del gruppo faceva parte, oltre lo stesso Falcone, e i giudici Di Lello e Guarnotta, anche Paolo Borsellino, che aveva condotto l'inchiesta sull'omicidio, nel 1980, del capitano del Carabinieri Emanuele Basile.

    il giudice Giovanni Falcone Si può considerare una svolta, per la conoscenza non solo di determinati fatti di mafia, ma specialmente della struttura dell'organizzazione Cosa nostra, l'interrogatorio iniziato a Roma nel luglio '84 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni De Gennaro, del Nucleo operativo della Criminalpol, del "pentito" Tommaso Buscetta.
    I funzionani di Polizia Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, furono uccisi nell'estate '85. Fu allora che si cominciò a temere per l'incolumità anche dei due magistrati. I quali furono indotti, per motivi di sicurezza, a soggiornare qualche tempo con le famiglie presso il carcere dell'Asinara.

    Si giunse così - attraverso queste vicende drammatiche - alla sentenza di condanna a Cosa nostra del primo maxiprocesso, emessa il 16 dicembre 1987 dalla Corte di assise di Palermo, presidente Alfonso Giordano, dopo ventidue mesi di udienze e trentasci giorni di riunione in camera di consiglio. L'ordinanza di rinvio a giudizio per i 475 imputati era stata depositata dall'Ufficio istruzione agli inizi di novembre di due anni prima.
    Gli avvenimenti successivi risentirono con tutta evidenza in senso negativo di tale successo. Nel gennaio il Consiglio superiore della magistratura preferì nominare a capo dell'Ufficio istruzione, in luogo di Caponnetto che aveva voluto lasciare l'incarico, il consigliere Antonino Meli. Il quale avocò a sè‚ tutti gli atti. Sopraggiunse poi un nuovo episodio ad accentuare ulteriormente le tensioni nell'ambito dell'Ufficio stesso, un episodio che ebbe gravissime conseguenze su tutte le indagini antimafia. In seguito alle confessioni del "pentito" catanese Antonino Calderone, che avevano determinato una lunga serie di arresti (comunemente nota come "blitz delle Madonie"), Il magistrato inquirente di Termini Imerese si ritenne incompetente, e trasmise gli atti all'Ufficio palermitano. Ma il Meli, in contrasto con i giudici del pool rinvio le carte a Termini, in quanto i reati sarebbero stati commessi in quella giurisdizione. La Cassazione, allo scorcio dell'88, ratificò l'opinione del consigliere istruttore, negando la struttura unitaria e verticisti delle organizzazioni criminose, e affermando che queste, considerate nel loro complesso, sono dotate di "un ampia sfera decisionale, operano in ambito territoriale diverso ed hanno preponderante diversificazione soggettiva". Questa decisione sanciva giuridicamente la frantumazione delle indagini, che l'esperienza di Palermo aveva inteso superare. Il 30 luglio Falcone richiese di essere destinato a un altro ufficio. In autunno Meli gli rivolse l'accusa d'aver favorito in qualche modo il cavaliere del lavoro di Catania Carmelo Costanzo, e quindi sciolse il pool, come Borsellino aveva previsto fin dall'estate in un pubblico intervento, peraltro censurato dal Consiglio superiore. I giudici Di Lello e Conte si dimisero per protesta.

    il giudice Giovanni FalconeSu tutta questa vicenda del resto, nel giugno '92, durante un dibattito promosso a Palermo dalla rivista "Micromega", Borsellino ebbe a ricordare: "La protervia del consigliere istruttore Meli l'intervento nefasto della Corte di cassazione cominciato allora e continuato fino a oggi, non impedirono a Falcone di continuare a lavorare con impegno". Nonostante simili avvenimenti, infatti, sempre nel corso dell'88, Falcone aveva realizzato una importante operazione in collaborazione con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, denominata "lron Tower": grazie alla quale furono colpite le famiglie dei Gambino e degli Inzerillo, coinvolte nel traffico di eroina.
    Il 20 giugno '89 si verificò il fallito e oscuro attentato dell'Addaura presso Mondello; a proposito del quale Falcone affermò "Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l'impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno

    spinto qualcuno ad assassinarmi". Seguì subito l'episodio, sconcertante, del cosiddetto "corvo", ossia di alcune lettere anonime dirette ad accusare astiosamente lo stesso Falcone e altri. Le indagini relative furono compiute anche dall'Alto commissario per la lotta alla mafia, guidato dal prefetto D. Sica.
    Una settimana dopo l'attentato il Consiglio superiore decise la nomina di Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Palermo. Nel gennaio '90 egli coordinò un'inchiesta che portò all'arresto di quattordici trafficanti colombiani e siciliani, inchiesta che aveva preso l'avvio dalle confessioni del "pentito" Joe Cuffaro' il quale aveva rivelato che il mercantile Big John, battente bandiera cilena, aveva scaricato, nel gennaio '88, 596 chili di cocaina al largo delle coste di Castellammare del Golfo.
    Nel corso dell'anno si sviluppa lo "scontro" con Leoluca Orlando, originato dall'incriminazione per calunnia nei confronti del "pentito" Pellegriti, il quale rivolgeva accuse al parlamentare europeo Salvo Lima. La polemica proseguì col ben noto argomento delle "carte nei cassetti": e che Falcone ritenne frutto di puro e semplice "cinismo politico".
    Alle elezioni del 1990 dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura, Falcone, fu candidato per le liste "Movimento per la giustizia" e "Proposta 88" (nella circostanza collegate), con esito però negativo.
    Intanto, fattisi più aspri i dissensi con l'allora procuratore P. Giammanco - sia sul piano valutativo, sia su quello etico, nella conduzione delle inchieste - egli accolse l'invito del vice-presidente del Consiglio dei ministri, C. Martelli, che aveva assunto l'interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli Affari penali del ministero, assumendosi l'onere di coordinare una vasta materia, dalle proposte di riforme legislative alla collaborazione internazionale. Si apriva così un periodo - dal marzo del 1991 alla morte - caratterizzato da una attività intensa, volta a rendere più efficace l'azione della magistratura nella lotta contro il crimine. Falcone si impegnò a portare a termine quanto riteneva condizione indispensabile del rinnovamento: e cioè la razionalizzazione dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, e il coordinamento tra le varie procure. A quest'ultimo riguardo, caduta l'ipotesi iniziale, di affidare il delicato compito alle procure generali, la costituzione di procure distrettuali facenti capo ai procuratori della Repubblica parve la soluzione più idonea. Ma si poneva altresì l'istanza di un coordinamento di livello nazionale. Istituita nel novembre del '91 la Direzione nazionale antimafia, sulle funzioni di questa il giudice dunque si soffermò anche nel corso della sua audizione al Palazzo dei Marescialli del 22 marzo '92. "Io credo - egli chiarì in tale circostanza, secondo un resoconto della seduta pubblicato dal settimanale "L'Espresso" (7 giu. '92) - che il procuratore nazionale antimafia abbia il compito principale di rendere effettivo il coordinamento delle indagini, di garantire la funzionalità della polizia giudiziaria e di assicurare la completezza e la tempestività delle investigazioni. Ritengo che questo dovrebbe essere un organismo di supporto e di sostegno per l'attività investigativa che va svolta esclusivamente dalle procure distrettuali antimafia".

    l'automobile distrutta su cui viaggiavano il giudice Giovanni Falcone e la moglie Francesca MorvilloLa sua candidatura a questi compiti, peraltro, fu ostacolata in seno al Consiglio superiore della magistratura, il cui plenum, tuttavia, non aveva ancora assunto una decisione definitiva, quando sopraggiunse la strage di Capaci del 23 maggio. Frattanto - giova ricordarlo - una sentenza della prima sezione penale della Corte suprema di cassazione il 30 gennaio, sotto la presidenza di Arnaldo Valente (relatore Schiavotti) aveva riconosciuto la struttura verticale di Cosa nostra, e quindi la responsabilità dei componenti della "cupola" per quei delitti compiuti dagli associati, che presuppongano una decisione al vertice; inoltre aveva ribadito la validità e l'importanza delle chiamate in correità.

    Insieme a Falcone, a Capaci, persero la vita la moglie Francesca Morvilio, magistrato, e gli agenti di scorta Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. All'esecrazione dell'assassinio, il 4 giugno si unì il Senato degli Stati Uniti, con una risoluzione (la n. 308) intesa a rafforzare l'impegno del gruppo di lavoro italo-americano, di cui Falcone era componente.

    TI STIMO GIOVANNI........ :( :cry: :cry: :jam: :jam: :per: :per:
     
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4 replies since 14/4/2009, 17:39   478 views
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