NEWSL'Inter perde la testa

Espulsi Mancini e Materazzi. Cruz, pugno da prova tv

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    Il coraggio, stavolta, non manca. Ma, ad accompagnare in finale la truppa prima della classe in campionato sono i nervi, ieri sera saltati a più riprese. Il verdetto del campo la promuove, il capitolo dedicato agli atteggiamenti no: questa è la cartolina che l’Inter di stagione offre uscendo dalla notte dell’Olimpico. Sarà per la festa scudetto alle porte, ma non ancora consumata; sarà per un mese, quello di maggio, dove si arriva a fari spenti e in apnea soprattutto se chi insegue dà segnali migliori, sta di fatto che, prodezza di Pelè esclusa, la sfida nerazzurra è vissuta sul nervosismo di Mancini e sull’esuberanza di Materazzi, entrambi con il rosso in faccia.

    L’Inter si presenta sotto i riflettori di un Olimpico da gran galà con Suazo libero di sfruttare gli spazi e Jimenez, ex mai amato, con il compito del guastatore là davanti. In mezzo al traffico, spuntano i tacchetti del baby Bolzoni, ieri 18 candeline, più i polmoni di Pelè e Javier Zanetti. Dalla lavagna di Delio Rossi ecco l’atteso tridente (Rocchi-Bianchi-Pandev) con un centrocampo affidato alle trame di Ledesma e alle scorribande dell’uomo mercato Behrami (in tribuna, per lui, i dirigenti del Siviglia).

    L’avvio fa tremare i guantoni di Toldo, spettatore sulla velenosa traiettoria di Ledesma che centra il palo su punizione. La Lazio ha l’aria di voler aggredire l’avversario, mettere la freccia e chiudere da subito il discorso qualificazione dopo il niente di fatto di San Siro (0-0), ma i nerazzurri non perdono mai di vista equilibri e voglia di replicare alle offensive biancocelesti. Suazo è in cerca di praterie, Jimenez del colpo da ko che sfiora a pochi attimi dall’intervallo con un slalom a beffare Cribari e una saetta a sfiorare l’acuto con Ballotta in ginocchio. Mancini è in piedi davanti alla panchina. Il popolo laziale, stavolta, lo risparmia perchè è Lotito il bersaglio di una stagione. «Remiamo tutti dalla stessa parte... Anche l’anno prossimo», così Massimo Moratti da piazza San Pietro.

    Mancini, la guida di una truppa sempre al limite, il confine del campo lo supera per protestare contro il signor Saccani, un’uscita sopra le righe che lo condanna al rosso e a più di mezz’ora in castigo negli spogliatoi («Bravo, fenomeno», e poi il dito alla tempia come a dire questo è matto, lo scatto del Mancio contro l’arbitro). L’Inter brinda alla nuova finale di Coppa Italia, lo fa mettendo in vetrina una rete da capogiro che ha esaltato le qualità di Suazo e l’astuzia di Pelè, abile a trasformare in oro una corsa senza freni dell’attaccante ex cagliaritano e a festeggiare così il primo colpo ufficiale in maglia nerazzurra. La sfida resta viva, la Lazio, «ferita», non indietreggia, si porta in più di un’occasione a un passo dal pareggio, ma la diga interista regge.

    Cruz (che poco prima aveva colpito Kolarov con un pugno da prova tv) sfrutta un’amnesia di Ballotta per il sigillo del raddoppio subito dopo l’entrata da rosso di Materazzi sui piedi di Pandev. Finisce con l’Inter sotto la doccia a nervi scoperti e con l’Olimpico in rivolta contro Lotito, costretto ad abbandonare la tribuna d’onore. Il progetto Lazio? Tutto da rifare.

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